Con l’arrivo di SKY in Italia, nel 2003, ci fu un aumento dell’offerta di canali televisivi italiani che, chi possedeva il decoder, poteva vedere nella parte alta della numerazione. Quindi, accanto all’offerta di qualità, SKY cominciò a portare avanti una politica editoriale che dava la possibilità ad un sacco di TV locali di uscire dal piccolo cono di irradiamento che le trasmissioni terrestri avevano consentito loro fino a quel momento e diventare a tutti gli effetti dei broadcaster nazionali. Questo era assolutamente innovativo perché avveniva in un panorama di arida concorrenza che aveva come protagoniste assolute Mediaset e Rai, con un piccolissimo outsider (formato neo-promossa che fa 3 partite buone all’inizio e si ferma già prima di metà del campionato ) chiamato La7 e una promessa (a mente fredda mancata) chiamata MTV.
Noi autori di cortometraggi, non essendoci in quegli anni ancora Youtube, eravamo cresciuti un po’ nel mito di quella fantomatica telefonata che poteva arrivare da un momento all’altro con dall’altra parte un produttore che da Cologno Monzese ci diceva:
Il tuo cortometraggio è stato selezionato da Corto 5
Frase seguita magari da un’offerta economica che avrebbe fatto morire di invidia gli amici e dimostrato finalmente ai nostri familiari che non stavamo buttando via la nostra gioventù tra telecamere e nottate davanti al computer. Nel mio caso era anche arrivata una simile chiamata, proveniente per altro da Viale Mazzini e non da Mediaset, ma il passaggio televisivo nazionale era avvenuto la mattina verso le 8 e quel cachet , che nei miei sogni mi avrebbe cambiato la vita, era stato di 516 euro lordi, che una volta pagate le tasse e rapportato al tempo trascorso a creare il cortometraggio andato in onda, mi faceva salarialmente più sfruttato di un lavoratore di McDonald’s.
Intorno al 2004 cominciarono ad arrivare a me e ad altri autori un sacco di richieste di messa in onda da parte delle televisioni, che detta così era una bellissima cosa, ma approfondita la questione si riduceva ad un passaggio da meno di 1000 spettatori e, soprattutto, senza cachet. In altre parole: gli editori stavano solo cercando materiale con cui riempire a costo zero e “de-localizzare” i loro palinsesti di televisioni di Paese improvvisamente sbarcate a livello nazionale. E noi, anche quella volta, ci facemmo fregare.
GAP GENERAZIONI ALLA PROVA
Ero all’aeroporto di Venezia che mi stavo per imbarcare per Madrid quando mi arriva una di quelle chiamata che sembrano il prologo di un film.
Pronto, è la RAI. Parlo con Daniele Carrer?
Ad oltre 10 anni di distanza francamente mi manca il ricordo completo della conversazione che avvenne dopo però, se non mi sbaglio, il motivo per il quale la TV di Stato si era accorta di me è che avevano visto uno dei miei corti ad un Festival e volevano trasmetterlo in un programma che parlava di giovani e che si chiamava “GAP- generazioni alla prova”. La conduttrice ed un ospite importante dibattevano di puntata in puntata di un tema diverso, confrontandosi con una platea composta da giovani e in coda, congruentemente con quello di cui si era parlato, veniva trasmesso un cortometraggio. Avendo io all’epoca 25 anni, da una parte ero perfettamente in target con la trasmissione, e dall’altra, visti i contenuti de “Il mio mondo personale I parte: elogio alla violenza” ero la chiusura perfetta della conversazione sulla pazzia tra Chiara Gamberale, così si chiamava la conduttrice, e Vittorino Andreoli, noto psichiatra Veronese, tutt’ora molto invitato in televisione (non me ne voglia: credo per lo stesso motivo per cui Giovanni Allevi è considerato un buon pianista).
Per quanto è normale che dopo tutto questo tempo mi sfuggano i dettagli di quello che ci dicemmo io e il produttore in quell’inaspettata chiamata, ricordo due cose. Primo che lui citò il nome della conduttrice, che era accanto a lui anche se in silenzio, e che io lo stupii dimostrando di sapere già chi fosse, non tanto per la sua attività di scrittrice ma per la sua partecipazione a “Parola mia”, magnifico programma che guardavo da bambino e che proprio in quell’anno tornò in onda. Secondo perché percepii da subito un certo imbarazzo misto a timore nel mio interlocutore. Lo stesso imbrazzo che ricordo frequente anche negli organizzatori dei festival che incontravo di persona o che mi chiamavano per riferirmi di una selezione o di un premio. Se fino a quel momento tale atteggiamento mi era un po’ oscuro, in quella chiamata ne ebbi la definitiva spiegazione: chi avevo di fronte, almeno inizialmente, mi identificava con il personaggio del cortometraggio e, visti i toni usati, aveva più di un motivo di pensare che ad una sua parola sbagliata sarebbe scaturita da parte mia una reazione incontrollata. Lo capii perché, dopo un paio di minuti nei quali avevo ampiamente dimostrato un atteggiamento mansueto, il produttore si liberò delle sue paure e mi disse:
Ci chiedevamo quanto quello che dici nel video corrisponda alla tua vita reale.
Da una persona che lavora nel mondo dello spettacolo non ci si aspetta una domanda del genere, ma non ne faccio una colpa a quel produttore. La media dei cortometraggi di quell’epoca non aveva già più nulla a che vedere con i film, nei quali, anche il più ingenuo degli uomini della strada, non può pensare che l’attore che vi recita sia, fuori dal set, come il suo personaggio. Era un periodo in cui ci si stava velocemente spostando dal fare cinema al fare quello che poi sarebbero diventati i video di Youtube, quindi complice la produzione amatoriale, caratterizzata nel mio caso da riprese in luoghi reali e parlati con la dizione sbagliata, anche un addetto ai lavori poteva cadere nell’equivoco di credermi cattivo come il personaggio che avevo interpretato.
Credo sia molto difficile percepire oggi, in tempi di facili sproloqui, il valore di rottura narrativa che ha avuto quel mio corto. Io sono di natura uno che, quando si trova di fronte una persona, è quasi più preoccupato che questa stia bene piuttosto che del proprio compiacimento personale quindi, da lì in poi, mi capitò spesso di presenziare a qualche rassegna a cui ero invitato e di passare i primi 5 minuti a recitare la parte di un moderno Forest Gump per evitare che gli altri, che già conoscevano le mie opere, si trovassero in qualche modo intimoriti dalla mia presenza. Se avete voglia di guardare come mi presenta Chiara Gamberale capirete che non sto per niente esagerando.