Dal 1995, anno della mia prima telecamera, nonché della mia maggiore età, al 2009, sono stato un videomaker dopolavorista. Anziché fare stage a vita o mettermi nel business dei video dei matrimoni, ho fatto, con molta più dignità professionale, un altro lavoro che mi dava da vivere e, contemporaneamente a questo, delle opere video che rientravano nella categoria delle produzioni libere che, in quanto tali, pagavo con i miei soldi.
L’unico programma di cinema in onda in una televisione nazionale nel 2005, che si chiamava la 25a ora ed era trasmesso da La7, ha mandato in onda un episodio monotematico con una decina di cortometraggi interamente realizzati da me e mi ha intervistato in studio.
Pochi fenomeni del video possono contare su una partecipazione del genere che non è scaturita da nessuna raccomandazione o amicizia interna alla redazione, come succede in molti altri casi.
Il negozio dove lavoravo all’epoca era enorme, visto che eravamo 130 dipendenti e in un sabato passavano migliaia di persone.
Mi ricordo che dal giorno della messa in onda e per qualche settimana, ogni tanto mi giravo e vedevo qualcuno che mi fissava e sorrideva, anche perché in quella trasmissione i toni che avevo utilizzato non erano esattamente quelli del regista impegnato che vuole salvare il mondo (e poi passa le sue giornate di fronte alle sedi di partito ad elemosinare fondi pubblici).
Stavo vendendo una macchina fotografica o un computer, alzavo gli occhi e vedevo queste persone che mi guardavano fisso e sorridevano come a dire:
Ma quanto mona sei?
Io abbassavo gli occhi e mi scappava ovviamente da ridere perché capivo che quella persona mi aveva visto in televisione.
Quello che mi stava ascoltando mentre cercavo di vendergli qualcosa a volte rideva anche lui senza sapere perché, e a volte si arrabbiava, perché pensava che lo stessi prendendo in giro.
Bei ricordi di un mondo che non esiste più.
Daniele Carrer