Il montaggio digitale si iniziò ad usare negli studi di produzione video di Provincia intorno alla metà degli anni 90. Inizialmente, per motivi legati ai costi di una tecnologia ancora fresca ed esosa, questo avveniva noleggiando delle salette apposite per i lavori più grossi e, a partire dal 1998/99, acquistando a 6 o 7 milioni di lire i primi sistemi, computer e scheda di acquisizione, da installare nella propria sede. Provate a pensare ad un montatore professionista che fa quel lavoro da vent’anni e, improvvisamente, vede cambiare il mondo che lo circonda in una maniera così radicale e veloce che la sua professionalità tutto d’un colpo vale un decimo di prima. È probabile che la stessa cosa accadrà a breve con le auto a guida autonoma che licenzieranno milioni di autisti, ma quella volta per quella nicchia di lavoratori era ancora peggio, perché facevano parte della categoria degli intellettuali, ovvero gente che, un po’ alla Marchese del Grillo, da sempre vive nel presupposto di avere il diritto di vivere una vita migliore degli altri.
Come racconto in un altro post, passai il biennio 97/98 ad ascoltare i discorsi dei grandi vecchi del settore che, oltre ogni razionalità, continuavano a sostenere che il sistema analogico era il migliore. Quando però questi iniziarono a perdere molti soldi, superati da ragazzini impertinenti che grazie ad attrezzature infinitamente più performanti delle loro producevano di più e ad un quarto del costo, si convinsero che era arrivata l’ora di voltare pagina (dichiarando implicitamente che quanto sostenuto fino a quel momento erano bugie dette per convenienza).
Faccio notare che, come è evidente al giorno d’oggi, il digitale appiattisce tutto, quindi: se oggi metto uno a fianco all’altro un montaggio fatto con con un computer da 300 euro e quello fatto con un computer a disposizione di un grande studio Hollywoodiano, il risultato finale non cambia, cambia semmai (un pochino) la velocità con cui si riesce a portare a termine il lavoro e qualche altra sfumatura. Al tempo non era ancora così, perché la connessione tra telecamera e PC non era digitale, quindi c’era una piccola dispersione di segnale nel trasportare i filmati dalla videocassetta all’hard disk. In quel piccolo spazio di discussione si inserì il nuovo argomento di moda nei discorsi dei montatori vecchia maniera: IL CHIP.
I più giovani devono considerare che nel 1998 esistevano tantissimi professionisti, anche di elevata cultura, che il computer non sapevano nemmeno cosa fosse. In quella categoria rientravano il 90% dei montatori/registi che, quando parlavano di informatica con un ragazzino come me (che non ero ancora un vero smanettone, ma un po’ me ne intendevo), dimostravano già alla seconda frase tutti i loro limiti in una materia nella quale erano incompetenti, e che si trovavano improvvisamente loro malgrado a dover governare alla meno peggio sotto il peso del cambiamento che la tenologia aveva imposto. Con la stessa facilità con cui oggi si parla di START UP, attribuendo oramai il termine a chiunque apra una partita iva, fosse anche un idraulico, l’hashtag dell’epoca nel settore, 10 anni prima di Twitter, era #ilCHIP, visto che non si parlava d’altro.
Ah, tu hai quella scheda di acquisizione. Sì, ma il mio CHIP è 100 volte meglio.
Il CHIP era una sorta di divinità inventata dai venditori informatici dalla quale dipendeva la qualità del montaggio. Nella realtà, se delle differenze c’erano, e sulle schede sopra le 500 mila lire credetemi erano praticamente invisibili, queste non potevano essere vantate da quelli che fino al giorno prima avevano difeso i sistemi di montaggio videoregistratore/mixer/centralina che producevano copie di qualità simile a quella di un filmato di Paperissima.
Non so se avete presente la scena che si vive quando si gira per una grande città piena di turisti con la reflex al collo. Ad un certo punto si incrocia sempre quello che ne ha una più grossa. Quando questo si avvicina abbassa gli occhi per un attimo e guarda con disprezzo l’attrezzatura “dell’avversario”, come a dire:
la mia è migliore.
Con il CHIP, dal 1998 fino all’avvento della connessione digitale da telecamera a computer avvenuta poco meno di diec’anni dopo, accadeva più o meno la stessa cosa. Era una sorta di pallottola magica usata per uccidere qualsiasi argomentazione seria:
io chiedo il doppio dei soldi perché il mio CHIP è migliore.
Francamente non ho mai capito se ci fosse stata una sorta di plagio di massa da parte dei negozianti che, di fronte a della gente incompentente, solevano usare argomentazioni che la scarsa cultura informatica di chi si trovavano di fronte non poteva controbattere. Mi ricordo un discorso epico con un neo-montatore digitale ultraquarantenne che faceva il gradasso nei miei confronti perché a lui avevano montato il doppio processore, che a detta di chi gliel’aveva venduto, sommando la velocità di clock dei due, eseguiva tutte le operazioni in metà del tempo (chiunque ne capisce un po’ in materia adesso si sta facendo due risate, per tutti gli altri: è più o meno come sostenere che le auto 4×4, visto che hanno la doppia trazione, vanno al doppio della velocità).
Fortunamente le cassette cominciarono ad andare in pensione a partire dai primi anni della sucessiva decade e oggi, con l’introduzione delle schede di memoria come supporto di registrazione, il computer che si usa è del tutto ininfluente sulla qualità finale del video. Da persona con un piede e mezzo fuori dal settore mi piacerebbe però capire cosa riescono ad inventarsi oggi i professionisti di Provincia per sbarcare il lunario dicendo che
loro ce l’hanno ancora migliore degli altri.