Nel 2005, in quel di Hannover, dove ogni due anni si svolge un Festival dedicato ai migliori giovani filmaker del mondo, fui selezionato in concorso con un cortometraggio in inglese, che aveva una traduzione facile facile dall’italiano perché aveva solo la voce fuori campo.
Ero arrivato in Germania da solo nel periodo di Natale chiedendo un permesso straordinario per una toccata e fuga visto visto che, essendo dipendente di un negozio, il mio datore di lavoro non era esattamente felice di lasciarmi andare nei giorni dell’anno in cui la gente spendeva più soldi.
Ad un certo punto, mi trovai in una sala cinematografica che sembrava la scena madre di un film. Una di quelle che quando ci sei dentro, e nel mio caso mi ci trovavo abbastanza improvvisamente perché nella vita di tutti i giorni non frequentavo gli ambienti cinematografici, ti fa pensare per un attimo che forse ce l’hai fatta.
Seduti c’erano decine di registi ventenni da tutto il mondo. All’intervista in inglese dopo la proiezione riuscii anche a rispondere senza esitazioni, tanto che più di qualcuno credo abbia pensato che non fossi Italiano.
Il giorno successivo, mi ricordo che era domenica, in albergo andai a fare colazione molto presto e si ripeté la scena di gente da tutto il mondo: Cinesi, Giapponesi, Americani che a tavola parlavano di cinema, e io che avrei dato qualsiasi cosa per rimanere lì con loro tutta la vita.
Quattro ore dopo dovetti tornare alla vita normale. Alla vendita di computer e macchine fotografiche, come nessun cinematografaro ammetterebbe mai per vergogna della normalità. A mezzogiorno di quella domenica del Natale 2005, ero già tornato al mio posto di lavoro per spiegare all’uomo della strada che il cavetto usb non era incluso nella stampante.
Mi consola sapere che sui contrasti si costruisce la parte migliore di un uomo, e io di contrasti nella vita ne ho vissuti tantissimi.
Daniele Carrer